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Il “segreto” per vincere le elezioni presidenziali negli U.S.A.

È possibile predire il risultato della competizione elettorale più importante al mondo, e cioè le elezioni presidenziali americane?

Apparentemente no. Da anni esperti di statistica e di sondaggi passano le notti in bianco alla vigilia dei turni elettorali per riuscire, grazie alle ultime “imbeccate” disponibili, a fornire una predizione che poi la realtà tende ben volentieri a smentire.

C’è però un fattore che non viene considerato, o perlomeno viene fatto passare in secondo piano dai “classici” esperti di politica. Un fattore che si è rivelato fondamentale e che ha permesso a Martin Seligman e Harold Zullow di riuscire a predire il risultato delle presidenziali americane nel 90% dei casi! I due, partendo dall’analisi dei discorsi tenuti dai candidati a partire dal 1948 fino ai giorni nostri, hanno riscontrato che nella stragrande maggioranza dei casi la vittoria va al candidato che nei discorsi tenuti in campagna elettorale si è dimostrato più ottimista del suo rivale.

Semplice no? Non proprio.

In effetti non è così facile calcolare il “tasso di ottimismo” di un discorso o di un concorrente alla Casa Bianca. Ma questo esula dalla nostra analisi; ci basta sapere che tramite un algoritmo i due studiosi non solo hanno riscontrato che i candidati più ottimisti risultavano i vincitori in 9 casi su 10, ma – spingendosi ancora più in là – sono riusciti anche a predire il risultato delle successive elezioni presidenziali americane.

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Fateci caso. Prendete ad esempio la campagna elettorale di Obama nel 2008. Non ci serve analizzare né i suoi discorsi né quelli di John McCain, fermiamoci agli slogan. Quello di Obama, il celeberrimo “Yes we can” ha fatto il giro del mondo ed è diventato simbolo di cambiamento e speranza per milioni di persone anche fuori dagli Stati Uniti.

Era un messaggio che infondeva positività e rassicurava non solo sul futuro, ma anche sul presente. Se paragonato allo slogan di McCain “Country first”, appare evidente quale dei due risulti non solo meno ottimistico, ma anche meno “connesso” alla realtà. In poche parole, Obama garantiva un’immediata possibilità di fare concretamente qualcosa, mentre McCain poneva sul piatto della bilancia un obiettivo tanto vago quanto autoreferenziale. Il resto è storia.

Perché vi parliamo di elezioni presidenziali in un blog rivolto al mondo del business? Semplicemente perché, che siate politici, imprenditori, professionisti di settore o che facciate parte di un consiglio d’amministrazione, i paradigmi per vincere rimangono gli stessi. Uno di questi è l’ottimismo. Vi conviene tenerlo bene a mente la prossima volta che darete il via ad un nuovo progetto.

Se voi per primi non siete persuasi delle vostre idee e non siete capaci di infondere entusiasmo nei vostri collaboratori, difficilmente riuscirete a far fare progressi alla vostra attività.

A questo punto potreste obiettare che l’ottimismo è connesso alla propria indole e – a posteriori – proprio alla buona riuscita dei propri progetti (all’interno di un circolo virtuoso quindi), e che magari non è così facile vedere “la vie en rose” quando tutto intorno infuria la tempesta. Vero, ma è altrettanto vero che l’ottimismo può essere appreso e può essere usato come una vera e propria arma a vostra disposizione per superare i periodi più difficili. Per imparare ad utilizzare a nostro vantaggio un approccio ottimistico ci sono numerose e svariate tecniche messe a punto da Martin Seligman. Qui te ne riporto due:

1. La prima tecnica è denominata del “prendere le distanze”. Ogni volta che vi troverete immersi in pensieri negativi su di voi o sulla vostra attività, immaginate che questi pensieri non provengano da voi, bensì da un’altra persona.

È molto più facile trovare argomenti per controbattere alle accuse quando ci vengono rivolte da altri piuttosto che da noi stessi. Raffigurando i nostri pensieri negativi come provenienti da terzi, saremo in grado escludere il nostro ego dall’equazione e valutare la situazione in maniera più oggettiva.

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2. La seconda tecnica consiste invece nell’imparare a discutere con se stessi. Non c’è cosa più difficile infatti che mettere in discussione le nostre idee, ma è proprio quello che dobbiamo fare per riuscire ad “asciugare” completamente un problema fino a ridurlo ai suoi minimi termini.

Per cui la prossima volta che vi capita di imbattervi in un errore, prima di fare un “Quarantotto”, valutate accortamente tutte le implicazioni di quella azione. Nello specifico, fate una lista delle prove a supporto della vostra tesi, delle alternative possibili che potreste scegliere, delle implicazioni che l’evento ha avuto e della sua utilità complessiva.

Alla fine dei conti, nella maggior parte dei casi, problemi che sembravano insormontabili si riveleranno poco più di bolle di sapone, o verranno percepiti come tali e così, non trovandoli più così mostruosi, troverete di certo una soluzione. Abbiamo paura di ciò che non conosciamo. Ridurre un problema ai suoi minimi termini ci permette invece di conoscerlo e quindi di non esserne più sopraffatti.

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