Innovare, che fatica!

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Se oggi c’è una parola talmente abusata e così sulla bocca di tutti da aver perso ogni credibilità, questa è “innovazione”.

 

A seconda dei casi, queste 5 sillabe si trasformano in un mantra miracoloso, in una panacea universale e anche in uno spreco di risorse, in una perdita di tempo.

Insomma, questo termine è ormai così inflazionato da portare al parossismo le reazioni nei suoi confronti.

Ma perché siamo arrivati a tanto? Non dovrebbe, l’innovazione, essere inserita tra le altre funzioni di un’azienda di successo?

Fernando Trias de Bes, imprenditore e esperto di Marketing catalano, identifica insieme a Philip Kotler, nel libro Innovare per Vincere, 7 problemi che hanno fatto sì che l’innovazione versi nello stato attuale.

 

1. Che cosa significa veramente innovare?

Quando un’azienda lancia un’innovazione rivoluzionaria, come ad esempio ha fatto Apple con l’iPhone, finisce sulle pagine dei giornali e viene usata come esempio nei convegni in ogni parte del mondo.

Tutti, dagli addetti di settore alla stampa, sono pronti a riconoscere la grande portata di quell’innovazione.

Questo atteggiamento ci fornisce una visione distorta dell’innovazione, ci porta a credere che questa sia necessariamente correlata ad un nuovo prodotto, un nuovo servizio o un’app che abbaglia il mondo e ridefinisce totalmente le regole del mercato.

 

innovazione

 

La verità è che un prodotto innovativo ha sì la capacità di risplendere ai nostri occhi e catturare l’attenzione, ma al tempo stesso mette in ombra molte altre componenti a cui non prestiamo attenzione.

E così ci perdiamo una parte molto importante, perdiamo il percorso sottaciuto costituito dagli step che hanno portato al prodotto finale, ci perdiamo tutti i piccoli passi che hanno portato alla grande novità.

Ma nella stragrande maggioranza dei casi, quando qualcosa ci sembra veramente innovativo, in realtà è frutto di lenti e continui miglioramenti. Le piccole innovazioni costanti sono fondamentali e rappresentano la norma, non l’eccezione.

 

È infatti l’innovazione graduale che rende veramente sostenibile un’attività economica: per qualsiasi azienda sarebbe molto rischioso lanciare un’innovazione rivoluzionaria senza aver testato prima tutti i possibili step intermedi che portano al prodotto finale.

Per questo è fondamentale cambiare il proprio mind set riguardo all’innovazione: non bisogna pensarla come qualcosa da raggiungere con una sorta di strappo, da un giorno all’altro, bensì come un percorso che ha una meta precisa e che, questa sì, cambia le carte in tavola ed è pronta a strabiliare.

2. Chi è responsabile dell’innovazione?

Trovare all’interno di un’azienda un responsabile dell’innovazione è l’eccezione e non la regola.

Nonostante la capacità di innovare sia fondamentale per la sopravvivenza della maggior parte delle aziende, i responsabili sono mosche bianche.

Oneri e onori dell’innovazione vengono divisi senza una logica stringente tra i vari reparti, anche se spesso è al marketing che si strizza di più l’occhio quando si parla di prodotti innovativi. È questo reparto (insieme a quello di R&D, quando presente) a formare il club esclusivo degli innovatori.

Ma seguire questo approccio è davvero proficuo?

L’innovazione non dovrebbe essere riservata a pochi membri di un club che pontificano tra di loro su eventuali futuri ipotetici. L’innovazione è un privilegio e una responsabilità condivisa di tutta l’azienda.

Ed ecco la parte difficile: quando tutti sono responsabili di qualcosa, nessuno lo è mai davvero.

Questo porta l’innovazione a crescere “orfana”, senza una specifica guida.
E sebbene questa condizione garantisca la massima libertà di espressione, pregiudica al tempo stesso la possibilità di indirizzare e monitorare i risultati del processo innovativo.

Nelle aziende che puntano ad essere veramente innovative, l’innovazione non dovrebbe essere una palla sballottata all’interno dei reparti (quando va bene) o tra i diversi reparti (quando va male), dovrebbe invece essere accudita e indirizzata da persone specifiche, non necessariamente interne all’azienda.

In questo modo si può avere un tipo di innovazione chiusa (svolta da singoli reparti), un tipo di innovazione collaborativa (svolta coralmente dall’azienda) e un tipo di innovazione aperta (in cui vengono coinvolte persone esterne all’azienda).

Ogni approccio ha dei pro e dei contro, e va testato nella quotidianità e nella specificità delle diverse attività.

3. Qual è la differenza tra innovazione e creatività?

Finalmente dopo tanto spremersi le meningi arriva la grande idea! E poi?

Spesso capita che un’idea ricca di potenziale resti per anni all’interno dell’organizzazione, rimbalzata a destra e sinistra senza che nessuno si prenda la responsabilità di gestirla.

Questo è un chiaro sintomo che la creatività non basta per arrivare all’innovazione.

E non bastano nemmeno nuove sensazionali idee o tecnologie all’avanguardia. Abbiamo visto come il processo di innovazione sia sostenuto e alimentato in primis dalle persone, e anche in questa seconda fase servono le persone adatte, capaci di far sì che una grande idea non rimanga soltanto sulla carta ma trovi il modo di avere un impatto sul mercato.

Una cosa che fanno spessissimo i manager è lamentarsi del fatto che l’erba del vicino sia sempre più verde, e cioè del fatto che la propria azienda, paragonata a quelle dei competitors, non riesca ad essere abbastanza creativa e innovativa.

E già qui iniziano le prime difficoltà: siamo sicuri che innovazione e creatività vadano di pari passo?

9 volte su 10 non c’è carenza di persone creative, bensì di figure preposte a gestire i frutti della creatività e a trasformarli in innovazione.

Avere una grande idea è già abbastanza complicato, in più se in azienda non c’è un processo definito che permette alle varie idee e proposte di trovare un humus adeguato e germogliare, possiamo star certi che anche il seme più resistente dovrà arrendersi all’evidenza dei fatti.

Non si riesce ad ottenere abbastanza innovazione, perché si confonde quest’ultima con la creatività.

L’innovazione richiede persone creative, ma comporta anche la determinazione di obiettivi chiari, la definizione di strategie, l’identificazione delle risorse e dei rischi e, soprattutto, l’identificazione di responsabili correlati ad ogni step nel processo di innovazione, dalla nascita di un’idea fino alla sua effettiva realizzazione.

 

obiettivi e risultati

 

4. Qual è lo scotto da pagare?

Ogni giorno in cui siamo al lavoro comincia una nuova sfida. Ogni giorno dobbiamo fare in modo che il nostro lavoro generi dei profitti e, nel frattempo, bisogna anche guardare al futuro per capire come innovare e anticipare i cambiamenti per mantenere la leadership del settore.

Come le Parche della mitologia latina, bisognerebbe avere una prospettiva definita sul destino delle nostre attività. Un occhio al passato e uno al futuro.

Ma è molto difficile domandarsi come fare le cose in un altro modo mentre le si fanno. Per questo è difficile innovare, perché l’innovazione comporta spesso la modifica di qualcosa che, almeno per il momento, funziona.

Should I stay or should I go: spesso queste esigenze possono essere in contrapposizione, spesso il cambiamento contrasta con l’efficienza.

Ogni volta che smettiamo di fare qualcosa che ancora funziona, perdiamo la possibilità di rifarci appieno dell’investimento che abbiamo fatto per quel prodotto o modus operandi.

D’altro canto, però, si tratta di decidere tra l’uovo oggi e la gallina domani: un imprenditore lungimirante non avrà il minimo dubbio su quale alternativa scegliere.

Le persone che dovrebbero apportare dei cambiamenti a ciò che funziona sono impegnate a portare avanti anche la routine quotidiana, e non c’è un modello preciso che definisce il momento giusto in cui smettere di fare quello che si sta facendo.

5. Chi ha il controllo della situazione?

A differenza delle altre discipline aziendali, dal marketing alla vendita, dalla contabilità alla gestione delle risorse umane, dove ci sono delle regole ben chiare e definite, quando si parla di innovazione le imprese non hanno ancora sviluppato un quadro di riferimento condiviso.

Per cui, la situazione è questa quando si parla di innovazione: la vostra squadra scende in campo, è pronta, ognuno ha un ruolo definito e chiaro in mente l’obiettivo, e cioè vincere la squadra avversaria composta dai concorrenti, dai clienti e allenata dal mercato.

L’arbitro fischia il calcio d’inizio e la vostra squadra in quel momento realizza di non conoscere le regole del gioco. E se ne va con la coda tra le gambe.

Il processo che porta all’innovazione deve avere innanzitutto regole definite, ci deve essere consenso su quali siano le variabili da monitorare, altrimenti non basterebbe neanche il più fuoriclasse dei manager a farvi vincere la partita.

Nello specifico, monitorare l’innovazione è il vero problema: senza un framework di riferimento, senza dei paragoni che non si fermino soltanto ai risultati, il compito diventa pressoché impossibile.

Uno studio condotto sui top manager di tutto il mondo mostra che solo per il 34% dei dirigenti l’innovazione trova spazio all’interno della propria agenda lavorativa, e la percentuale scende al 22% parlando di manager normali.

È possibile modificare questa situazione e attribuire anche all’innovazione un adeguato modus operandi, soltanto iniziando a considerare anche l’innovazione come una parte del management operativo.

Quando si assegnano delle responsabilità per il processo di innovazione, il controllo diventa possibile.

6. Chi coordina i vari afflati dell’innovazione?

Abbiamo visto come non ci debba essere una stringente focalizzazione dei reparti di marketing e R&D sull’innovazione.

Per questo ora è necessario fare uno step in più, e cioè chiederci come dovrebbe essere la coordinazione tra i vari reparti che, ognuno a suo modo, sono chiamati a contribuire al processo innovativo.

Perché il vero obiettivo per le aziende oggi è creare una cultura dell’innovazione condivisa tra tutti i membri dell’organizzazione.

 

Trias de Bes - Innovazione

 

Per converso, spesso si osserva una mancanza di coordinamento di 2 tipi:

  • Coordinamento orizzontale: cioè il coordinamento tra i reparti, tra soggetti di livello equivalente all’interno dell’azienda. Se tutti avessero un interesse concreto per come vengono sviluppate le idee, queste riceverebbero la spinta necessaria a diventare strategie e a passare dalla teoria alla pratica. Il problema spesso è che il processo di innovazione avviene per reparti stagni: qualcuno ha un’idea, qualcun altro la sviluppa, un altro ancora la mette in pratica.
  • Coordinamento verticale: ossia il coordinamento tra il management e il resto dell’organizzazione. Succede spesso che venga fatta la proposta di lanciare nuovi prodotti che il management non è disposto a finanziare, o che comportano un rischio maggiore di quello che si è disposti a sostenere. Lo squilibrio tra gli obiettivi dell’azienda e quelli dell’innovazione è uno dei principali ostacoli alla realizzazione di un processo di innovazione di successo.

7. Qualcuno ha pensato ai clienti?

Ecco una domanda utile da porsi per capire la differenza tra quella che è semplicemente un’idea e qualcosa che invece può trasformarsi in innovazione:

questa idea aumenta i benefici e il valore per il cliente?

Se sì, allora un’idea ha tutte le carte in regola per trasformarsi in innovazione.

È impossibile innovare  se non ci si focalizza sulle esigenze del cliente finale. L’innovazione, alla fine del suo processo, al momento di uscita sul mercato, deve essere accettata dal cliente, deve riuscire a farlo passare da un servizio o un prodotto che usava in precedenza a qualcosa di nuovo.

Questo passaggio non è sempre scontato: spesso il cambiamento ci spaventa, così il cliente sarà disposto a compierlo solo se i benefici che immagina di poter conseguire sono di gran lunga superiori a quelli offerti dal prodotto o servizio precedente.

Per questo spesso non si riesce ad innovare semplicemente affidandoci al brainstorming.

In fondo i componenti dell’azienda, nonostante le spiccate capacità deduttive e per quanto rappresentino un campione in target, costituiscono comunque una piccola percentuale della giungla di clienti con cui, poi, l’innovazione dovrà interfacciarsi.

Oltre a tecniche di brainstorming è quindi necessario utilizzare analisi accurate che permettano, attraverso l’osservazione del comportamento dei clienti, di ideare soluzioni che migliorino sensibilmente la loro esperienza.

Questa è la teoria, queste sono le domande che molte aziende ignorano e che, se irrisolte, non permettono di avere risultati soddisfacenti quando si parla di innovazione.

Nei prossimi articoli ci occuperemo di analizzare le migliori strategie per colmare queste mancanze e le tecniche più efficaci per passare all’operatività.

Se sei interessato ai temi del marketing lascia qui la tua mail!

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