Brand: bisogni emotivi o benefici funzionali?

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“Gli imprenditori devono pensare al brand prima del giorno uno,” spiegavamo, in un precedente articolo, attraverso le parole dell’esperta di branding Emily Heyward.” Il rischio di trascurare questo aspetto e di concentrarsi solo sulle funzionalità del prodotto è quello di costruire una brand identity superficiale, basata principalmente sugli aspetti più “facili” (payoff, immagine) e su vanity metrics. “Il problema,” continua la Chief Brand Officer di Red Antler, una delle più rilevanti agenzie pubblicitarie statunitensi, “è che concentrarsi esclusivamente sui benefici funzionali non è abbastanza per ottenere l’interesse delle persone, figuriamoci per ispirare amore sin dal giorno uno.”

Come abbiamo visto, sono due i fronti coordinati su cui agire: il problema che un brand e/o prodotto risolve, da un lato, e come facciamo sentire il cliente, dall’altro. Quali sono, dunque, le principali direzioni da seguire per evitare la “trappola del branding superficiale” e integrare sviluppo del brand e del prodotto in un’azione sinergica?

Risolvi un problema reale

È chiaro che tutta l’attenzione, fin dalle primissime fasi di concezione di un lancio, dovrebbe essere dedicata al cliente che vogliamo raggiungere. Eppure di frequente, nella costruzione della brand identity, si finisce per concentrarsi sulla soluzione che il brand offre, piuttosto che sul problema reale del target, sulla descrizione delle attività, più che a un’analisi profonda del bisogno. “La domanda più importante che poniamo nella nostra prima conversazione con i fondatori di un’azienda,” racconta Heyward parlando del lavoro che svolge con la sua agenzia, “non è come funziona il loro business o chi sono i loro competitor, ma qual è il problema che si propongono di risolvere.” E la chiave per individuare il vero problema è, secondo l’esperta, lo sviluppo di customer insight, un approfondimento sui profili dei buyer desiderati, che deve mirare a includere 3 elementi principali:

  1. La forma mentis, cioè i comportamenti e le abitudini più comuni nella fetta di mercato che si vuole conquistare. Questo tipo di analisi è preziosa per riconoscere chi sarà il cosiddetto brand champion, quel profilo di consumatore che è più incline ad adottare per primo un prodotto e a diventarne supporter e diffusore.
  2.  Il problema chiave, ovvero tra tutti i bisogni del target, qual è quello principale, il più urgente, che un brand può andare a risolvere.
  3. La brand idea, cioè la dichiarazione di come il brand soddisfa la particolare esigenza del cliente target.

Non fermarti agli early adopter del brand

Nell’elaborazione dei customer insight , comunque, Heyward mette in guardia da un fattore: quello della novità. Anche quando il tasso d’innovazione del nostro prodotto è alto, infatti, e questo può sembrarci sufficiente per rendere il brand forte e distintivo, il fattore novità può intimorire i consumatori, trattenuti da una naturale tendenza a resistere al cambiamento e a preferire le rassicuranti abitudini dello status quo. Qualche early adopter, insomma, qualche entusiasta molto precoce, non può costituire la base rappresentativa del nostro target. Dobbiamo necessariamente lavorare in modo congiunto sull’analisi del problema da risolvere e sulla risonanza emotiva per dare forza al brand e al business.

Customer insight in pratica: il test dei perché

Il problema più urgente per il buyer ideale non è relativo solo a una necessità pratica e immediata: spesso fa capo a bisogni più profondi e universali che è importante identificare. Heyward, in Red Antler, per la fase di creazione dei customer insight, utilizza un semplice metodo applicabile fin da subito, che chiama “test dei perché”.

Il primo step di questo metodo consiste nel domandarsi perché al nostro cliente importi di un certo problema. Trovata una risposta, è il momento di farsi ulteriori domande sull’importanza della questione per il cliente, ancora per due o tre volte, fino a raggiungere un risultato che avrà a che fare con un bisogno profondo e universale.

Perché alle persone importa che i trasporti siano lenti?
“Impiego troppo tempo per raggiungere un posto e non posso arrivare molto lontano.”
E perché questo ha importanza?
“Trascorro più tempo a spostarmi che a godermi la vita e a fare delle cose.”
E perché ha importanza?
“Perché la vita è breve e ho molti obiettivi da raggiungere, non posso sprecare la mia vita sui mezzi!”

Differenziare il brand: attingere al substrato emotivo

L’economicità di un prodotto, il fatto che sia più conveniente, più comodo e pratico da utilizzare sono oggettivamente dei benefici funzionali importantissimi, ma da soli non sufficienti. Soddisfano bisogni concreti e devono far parte di quello che il brand comunica di sé stesso, ma non sono il nucleo che rende il brand unico e riconoscibile nel mercato di oggi. Molto spesso, sotto alla superficie dei bisogni più scontati, infatti, occorre rivolgersi al substrato emotivo delle persone e andare a soddisfare un bisogno più personale, collegato alla necessità di percepire che stanno realizzando qualcosa di importante nella loro vita. Quello, in definitiva, è il vero problema da risolvere e da lì può partire lo sviluppo di una brand strategy davvero forte e differenziante. Prima ancora di pensare a cosa un brand dovrebbe rappresentare, suggerisce Heyward, dovremmo assicurarci sempre di essere chiari sul bisogno emotivo del nostro pubblico di riferimento.

Comunicazione e connessione

Ma se i benefici funzionali non bastano a soddisfare il problema di fondo del pubblico desiderato, come farlo entrare in risonanza con il prodotto e con il brand? L’aspetto razionale dei vantaggi pratici e quello emotivo non sono due aspetti separati. Non sono due tasselli semplicemente da congiungere attraverso una storia ad alto impatto. Al contrario si tratta di due componenti essenziali da pensare insieme, a partire dal momento zero. E questo ragionamento, secondo l’esperta di branding, non può scindere benefici concreti da benefici emotivi. Ciò che il brand comunica va costruito pensando a come fa sentire le persone.
Si comincia dall’analisi del prodotto: se abbiamo già individuato le specificità che lo differenziano e il problema profondo che questo risolve, è il turno di esplorare il “territorio emotivo” che esso genera. Ad ogni proprietà del prodotto corrispondono, infatti, sentimenti ed emozioni: è lì che risiede il vero collegamento, la leva da sfruttare per costruire le forza del brand.

3 step per esplorare il territorio emotivo del brand

Per trovare il punto di congiunzione tra prodotto, brand e strategia, Heyward suggerisce un altro pratico metodo in 3 step:

  1. Identifica il set dei principali benefici pratici che differenziano il tuo prodotto
    Possono essere, se prendiamo l’esempio di un paio di scarpe, il comfort, l’ecosostenibilità e la versatilità.
  2. Individua il fil rouge
    C’è un’idea che fa da comune denominatore? Occorre individuarla, perché è da lì che possiamo accedere a tutto un set di emozioni da evocare. Nel caso, ancora, di un paio di scarpe, l’idea di collegamento potrebbe essere il tema dell’esplorazione. Si lega all’idea del movimento e del camminare, al tema della natura da rispettare e a quello della varietà degli ambienti da attraversare. Territori emotivi che parlano a molti.
  3. Accedi al territorio emotivo
    Qual è l’emozione, il sentimento, lo stimolo collegato al fil rouge? Nel caso dell’esplorazione, il motore emotivo potrebbe essere la curiosità. Questa deve diventare, allora, la guida per ogni azione di branding, dalla ricerca del naming allo sviluppo di uno storytelling d’impatto.

Ciò che il prodotto fa non è mai disgiunto da come il prodotto fa sentire le persone: i benefici pratici – è la conclusione dell’esperta – devono essere allineati, confermare e contribuire ad appagare l’aspetto emotivo. Ma i sentimenti suscitati dal brand sono potenti solo se supportati da quello che il brand fa.

“Il brand non dovrebbe mai essere un tranello; dovrebbe essere l’appagante espressione
della realtà di un prodotto e, in definitiva, una forza positiva nella vita delle persone.”

Emily Heyward

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