Scalare le vendite con il metodo Challenger Sale

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Challenger sale
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Il venditore tipo del metodo Challenger Sale

  • Offre al cliente prospettive uniche
  • Ha delle capacità di comunicazione molto sviluppate
  • Conosce a fondo i valori individuali del cliente
  • È in grado di identificare le leve economiche più importanti per il cliente
  • È a suo agio quando parla di costi e di denaro
  • Sa applicare la giusta pressione nei confronti del cliente, senza risultare insistente.

All’apparenza caratteristiche non necessariamente legate le une alle altre, è il mix di queste a definire un profilo di venditore particolarmente efficace. È il profilo del venditore Challenger, il venditore sfidante, secondo le ricerche statistiche sul campo portate avanti da Matt Dixon e Brett Brent Adamson, nello studio che li ha condotti allo sviluppo del metodo Challenger Sale, il più grande avanzamento nel mondo delle vendite degli ultimi anni secondo lo stimato esperto Neil Rackham.

Come abbiamo iniziato a vedere in un precedente articolo, Diventare un venditore sfidante con il metodo Challenger Sale, il metodo omonimo si basa sullo sviluppo di tre principali direttive all’interno della forza vendita: teach, tailor, take control.

Le 3 fasi del metodo Challenger Sale

Essere in grado di “insegnare” qualcosa al cliente, saper cucire su misura una soluzione, e assumere il controllo del processo di vendita sono le tre macro aree su cui Dixon fonda l’applicazione del metodo Challenger Sale in azienda, specificando che non si tratta di semplici abilità individuali che spetta ad ogni singolo venditore sviluppare. Insieme all’azione individuale, il metodo funziona concretamente proprio quando “scala” all’interno della forza vendita e quando è supportato a livello organizzativo dall’intera azienda. Un vero e proprio switch nella mentalità e nell’assetto operativo. A riassumere e condensare le caratteristiche del venditore sfidante e a rappresentare ciò che lo contraddistingue dalle diverse tipologie che abbiamo già esaminato in un articolo precedente, è l’uso della cosiddetta tensione costruttiva.

La tensione costruttiva

La tensione costruttiva è un fattore indispensabile dell’intero approccio del Challenger Sale. Si tratta di una dinamica che contraddistingue la prima direttiva del metodo stesso, quella orientata all’insegnamento. Insegnare, in questo caso, significa offrire ai clienti prospettive differenti sul loro business, comunicarle con passione e precisione, in modo da ingaggiarli in una conversazione reale. Si tratta di punti di vista che non riguardano le soluzioni che noi come venditori offriamo. Al contrario, si tratta di insight su come il cliente potrebbe diventare un competitor più forte nel suo mercato. Spunti concreti su come potrebbe tagliare alcune spese, raggiungere nuovi clienti o abbattere alcuni rischi. Si tratta di portare il cliente a farsi domande, mettere in discussione ciò che sta facendo, aprendogli nuove possibilità che non aveva ancora visto.

Il cliente non vuole solo risolvere, vuole conoscere

Specie nei contesti B2B e nelle vendite complesse – fa notare Dixon – se il cliente è già ingaggiato in una conversazione con te, significa che attribuisce già al tuo prodotto o servizio un determinato valore o che lo percepisce a un livello adeguato alle sue esigenze e al suo standing. Ma questo, molto spesso, non è sufficiente a fargli percepire la tua differenza rispetto ai competitor di pari livello.

Le ricerche condotte in questo senso, confermano che, in generale, i clienti notano molte meno differenze tra brand o prodotti di quante ne vediamo noi. Anzi, la tendenza più ampia è quella a focalizzarsi sulle somiglianze, a creare dei pattern. Il vero nemico da abbattere, insomma, non è il semplice status quo, ma è la mancanza di un vero fattore distintivo.

Per riuscirci attraverso il metodo Challenger Sales, Dixon e Adamson definiscono la pratica del Commercial Teaching. Obiettivo ultimo: spiegare ai clienti qualcosa di nuovo e di provato valore relativamente alle loro problematiche di business, in modo che inequivocabilmente questa azione porti, oltre che a un beneficio per loro, a un risultato commerciale per noi.

Le 4 regole del Commercial Teaching

1. Insegna al cliente a volere il tuo aiuto

Si tratta di legare l’insight che dai al cliente alla tua soluzione, quella in cui sei indubbiamente migliore dei competitor, alla tua proposta di valore più differenziante.
Lo sweet spot da colpire per conquistare la customer loyalty infatti, spiega Dixon, è proprio la capacità attestata di fare una determinata cosa meglio degli altri.
Si tratta di legare le nuove prospettive che apriamo, i problemi che solleviamo, a ciò che noi stessi abbiamo insegnato ai clienti essere importante. Così stai insegnando al cliente non solo a volere aiuto per risolvere una questione, ma a volere il tuo aiuto.

È importante, naturalmente, che questa azione sia autentica: sollevare un bisogno che poi non siamo in grado di soddisfare è come condurre un cliente nel deserto: stai risvegliando un problema che non sapeva neppure di avere e lo stai frustrando con l’assenza di una soluzione. Questo richiede, appunto, il supporto ai venditori e alla rete vendita, dell’intera azienda, che deve definire con consapevolezza e poi formare tutti a rispondere alla domanda più difficile: che cosa sappiamo fare meglio degli altri?

2. Reframing: scardina i preconcetti dei clienti

Ciò che dici al cliente deve effettivamente parlargli, farlo mettere in discussione, far emergere delle domande. L’obiettivo è riconfigurare la sua visione sulla questione e portarlo a guardare le cose da una prospettiva inedita, che si tratti di rivedere il modo in cui opera, come affronta la concorrenza o qualsiasi aspetto del suo business.
Conferme e frasi di validazione sono sicuramente apprezzate dai clienti, ma non costituiscono uno stimolo. La reazione da ricercare, quando si applica il reframing, non è: “È proprio così! È esattamente quello che mi preoccupa!”. Se il cliente reagisce in questo modo, certamente hai individuato un punto che risuona con i suoi bisogni, ma non gli sta insegnando nulla di nuovo: rapport e reframing sono due pratiche ben distinte.

L’obiettivo è, come dicevamo sopra, creare e mantenere una certa tensione costruttiva, oltre che una semplice connessione. Una “diagnosi” da sola non basta a risolvere i problemi. La reazione che ci indica che il reframing è avvenuto nel modo giusto è: “Non ci avevo mai riflettuto da questo punto di vista!” Il prerequisito per un reframing efficace è conoscere il business del cliente meglio del cliente stesso. Il che, sottolinea Dixon, non è affatto un obiettivo impossibile da raggiungere. Spesso e volentieri è già così, occorre solo utilizzare questa conoscenza nel modo giusto.

3. Catalizza l’azione

In un contesto di scarsità di risorse e di alta concorrenza come quello attuale, sfidare le idee preconcette e i modi abitudinari di pensare a specifiche attività del business non è sufficiente a muovere davvero verso la decisione. L’azione va costruita in accordo con il reframing: non sulla soluzione o sul prodotto offerto, ma sulle possibilità inedite che abbiamo portato alla luce. Anche l’utilizzo di calcolatori di ROI, per esempio, strumenti spesso utilizzati per consolidare le decisioni d’acquisto, specie di soluzioni complesse, vanno rivisti in questo senso. “Una conversazione ben eseguita non riguarda la soluzione fornita, ma riguarda il business del cliente, i mezzi alternativi per abbattere costi e risparmiare, le opportunità passate finora inosservate” scrive Dixon nel suo The Challenger Sale. Deve essere evidente al cliente quale sarà il ritorno sulla riconfigurazione che lo stai aiutando a compiere, non il ritorno sul semplice acquisto dei tuoi prodotti.

4. “Scala” i clienti

Perché il commercial teaching funzioni davvero, occorre farlo scalare. In primis, suggerisce Dixon, è possibile farlo scalando i clienti. La segmentazione tradizionale, che classifica la clientela secondo criteri geografici, anagrafici o di settore, trascura una categorizzazione essenziale: quella sui bisogni e sui comportamenti. Clienti simili per esigenze reagiranno in modo simile a determinati insight, anche se non hanno niente in comune a livello merceologico. In questo senso è evidente come il Commercial Teaching non sia una semplice tecnica di vendita, ma una vera e propria strategia commerciale, che dà il meglio quando è l’intera azienda a parteciparvi, rendendo disponibili insight, dati e informazioni, consentendo così alla rete vendita di espandere il volume dei suoi risultati.

Il metodo Challenger Sale al Sales Forum

Abbiamo approfondito il metodo con Matt Dixon al Sales Forum, il grande evento dedicato interamente a vendite e negoziazione. L’evento, che si tiene ogni anno a Milano e contemporaneamente in diretta streaming, vedrà come protagonisti alcuni dei più stimati esperti del settore, e affronterà le tematiche più urgenti oggi per chi opera nel settore della vendita.

Il programma è disponibile a questo link.

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