Funzionalità, caratteristiche, benefici promessi e reali: è quello su cui sappiamo che il nostro prodotto deve concertarsi, specie nel B2B. Obiettivo: far emergere l’unicità, ampliare il nostro mercato, incrementare il volume d’affari. Ma il brand si differenzia allo stesso modo del prodotto? Qual è il legame tra questi due essenziali elementi del business?
Differenziare il brand (e il prodotto)
Si può parlare, tra i vari fattori, della “comodità”. La facilità con cui il nostro prodotto o servizio rende possibile un’azione, la semplicità di utilizzo, la linearità d’acquisto sono componenti che agevolano l’acquisto e rappresentano validi benefici per il buyer, ma possono, da sole, costituire l’elemento differenziante?
Del tutto monopolizzato da Amazon, difficilmente superabile in questi termini, il dominio della “comodità” nell’acquisto ha sdoganato questo concetto, oggi presente nella value proposition e nella brand purpose di numerosissime start up.
Proprio nel contesto di Amazon emerge un fatto inequivocabile. “Tutto ciò che Amazon rappresenta, alla fin fine, è la comodità. Fare acquisti su Amazon non è più appagante,” spiega Emily Heyward, esperta statunitense di branding e Chief Brand Officer di Red Antler, agenzia definita tra le più innovative al mondo dal magazine Fast Company, “Amazon non vi suscita grandi emozioni. […] Proprio come molti di voi, anch’io ho sviluppato una certa dipendenza da Amazon. […] Gli articoli che ordino su Amazon, però, sono di brand di cui mi sono innamorata altrove oppure sono così noiosi e strumentali che non mi prendo nemmeno il disturbo di provare affinità con i relativi brand.”
Brand di cui ci innamoriamo altrove
Insomma, semplificare e offrire comodità genera sicuramente del vantaggio competitivo, ma non è tutto. C’è appunto quella che Heyward definisce “affinità”: una componente che ha a che fare con la sfera emotiva, con quelle dinamiche comportamentali a volte meno visibili a livello superficiale, ma non per questo meno influenti sulle decisioni d’acquisto. E non si tratta soltanto della singola decisione, ma di relazioni, anche di lungo termine, tra utente o cliente e l’intera vita e produzione di un brand. È una componente che ha a che fare con la con la creazione di fiducia, con la condivisione di obiettivi e valori, che passano, in gran parte, attraverso la comunicazione.
Storytelling vs funzionalità pratica?
Se da un lato nessun brand può rinunciare alla differenziazione per godere di un qualche vantaggio competitivo, dall’altro – sottolinea l’esperta di branding che ha curato decine di campagna tra quelle di maggior successo negli Stati Uniti, – non può neppure rinunciare ad un altro aspetto essenziale per costruzione di un brand: uno storytelling convincente, coinvolgente e affascinante.
Significa che la creazione di un prodotto che si differenzi per l’estrema concretezza e funzionalità dei suoi benefici sia incompatibile con una comunicazione che “fa innamorare”?
Conciliare queste due attività, conferma Heyward, può sembrare effettivamente complesso, specie nel mercato B2B o nei settori di servizi che, apparentemente, sono più slegati dal decision making del singolo consumatore. Uno degli errori più comuni riscontrati dalla Chief Brand Officer di Red Antler sta proprio nella convinzione di dover bilanciare queste due componenti della costruzione di un brand, come se fossero due elementi separati.
Il brand come forza motrice del business
Comunicazione e sviluppo prodotto (e dunque del brand) non sono elementi separati, ma aspetti che nascono ed evolvono di pari passo. Dal business model alla brand purpose, dai benefici del prodotto alla comunicazione della brand identity tramite loghi e payoff, tutto è inestricabilmente collegato. Ecco perché il brand deve venire prima di tutto: è la vera forza motrice che può orientare e sostenere la crescita di un business.
“Gli imprenditori devono pensare al brand prima del giorno uno; il brand deve essere incorporato
nella cultura aziendale fin da subito.” – Emily Heyward
Non esiste brand success senza analisi
Spesso il successo di un brand sembra un avvenimento repentino, il cosiddetto “boom”, come se emergesse dal nulla. La realtà è che lo studio che precede l’esplosione dei brand di successo, conferma Heyward, si sviluppa molto tempo prima e non è un fatto di mera comunicazione, ma il risultato di una vera e propria analisi del prodotto, da un lato, e del cliente, dall’altro. “Il problema” sostiene la Chief Brand Officer, “è che concentrarsi esclusivamente sui benefici funzionali non è abbastanza per ottenere l’interesse delle persone, figuriamoci per ispirare amore sin dal giorno uno.”
La trappola del branding superficiale (e come evitarla)
Senza due step preliminari che toccano gli aspetti e i valori essenziali di ogni business, in sostanza, qualsiasi tipo di azione comunicativa finirebbe per cadere nella trappola di una brand identity “superficiale”, una patina estetica accattivante, ma di scarso di valore, che si ripercuote negativamente sulla crescita a lungo termine.
Per questo, prima ancora di dedicarsi agli aspetti più “superficiali” del branding, come la scelta di un logo o la ricerca del payoff perfetto, occorre lavorare su due fronti coordinati:
- il problema che il prodotto o servizio del nostro brand risolve;
- come il prodotto o servizio fa sentire il cliente.
Nel prossimo articolo analizzeremo alcuni dei suggerimenti di Emily Heyward per mettere in sinergia gli sforzi di sviluppo prodotto e branding, sin dal “momento zero”. Intanto, se vuoi approfondire i temi del marketing strategico puoi continuare a leggere: